Onorevoli Deputati! - La Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, firmata all'Aja il 14 maggio 1954 e resa esecutiva in Italia con la legge 7 febbraio 1958, n. 279, è finalizzata a ridurre il contrasto - non facilmente sanabile - tra il carattere totale della guerra moderna e la necessità di evitare che l'attività bellica operi una radicale distruzione del patrimonio culturale dell'umanità.
      La Convenzione prevede due regimi di protezione: uno di carattere generale e uno applicabile, a condizioni particolari,

 

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solo a certe categorie di beni (cosiddetta «protezione speciale»). L'esecuzione della Convenzione comporta, in generale, l'individuazione (mediante specifici segni distintivi) dei beni sottoposti a regime di protezione generale o speciale; l'iscrizione dei beni posti sotto la protezione speciale in un «Registro internazionale dei beni culturali»; la predisposizione, nell'ambito delle Forze armate, di personale specializzato con il compito di assicurare il rispetto dei beni culturali, anche attraverso la collaborazione con autorità civili preposte alla loro salvaguardia; l'impegno degli Stati Parte a proibire, prevenire e, occorrendo, a far cessare qualsiasi atto di furto, saccheggio, sottrazione di beni culturali sotto qualsiasi forma, nonché qualsiasi atto di vandalismo nei riguardi di tali beni.
      La Convenzione ha dimostrato negli anni notevoli limiti di applicabilità, rimanendo sostanzialmente priva di effetti, sia per il complesso meccanismo di attuazione, sia per la conseguente limitata base di adesione.
      A partire dal 1992, su iniziativa olandese, è iniziato un processo di riesame della stessa Convenzione, che l'Italia ha sostenuto con forza, in considerazione sia dell'entità del patrimonio culturale presente sul territorio nazionale e del suo enorme valore strategico nelle future politiche di sviluppo economico, sia della preoccupazione per il rilievo strumentale che i beni culturali hanno recentemente assunto nei conflitti, in particolare interetnici, come obiettivo militare.
      Il processo di revisione della Convenzione ha portato all'elaborazione del II Protocollo aggiuntivo, adottato ufficialmente durante la Conferenza diplomatica dell'Aja del 14-26 marzo 1999 e firmato dalla maggior parte dei Paesi il 17 maggio 1999 sotto forma di documento integrativo della Convenzione del 1954.
      L'accordo in questione è molto importante per il nostro Paese, in quanto si propone di sopperire alle suddette evidenti difficoltà di applicazione della Convenzione del 1954, con specifico riferimento al regime di «protezione speciale», di cui la grande maggioranza delle città d'arte italiane non potrebbe beneficiare a causa degli eccessivi vincoli imposti dalle condizioni richieste.
      Il II Protocollo aggiuntivo:

          a) istituisce il Comitato intergovernativo, con il compito di assicurare l'effettiva esecuzione delle disposizioni convenzionali;

          b) introduce il regime della «protezione rafforzata» (accanto a quelli della «protezione generale» e della «protezione speciale») per i beni di maggiore importanza per l'umanità, che non possono soddisfare alle condizioni richieste per l'applicazione del «regime di protezione speciale» (ad esempio beni che si trovano in città storiche vicino a autostrade, superstrade, stazioni eccetera), e che devono essere iscritti in una «lista internazionale ad hoc», sotto la supervisione del Comitato stesso;

          c) definisce la nozione di necessità militare imperativa, come giustificazione di eventuali attacchi contro i beni culturali soggetti a protezione rafforzata, nonché quella di obiettivo militare;

          d) attribuisce ai comandi militari la responsabilità delle relative decisioni;

          e) introduce la responsabilità individuale, in materia di responsabilità delle parti in conflitto, in caso di danneggiamento o distruzione ingiustificati dei beni culturali, e prevede le relative sanzioni;

          f) istituisce, infine, un fondo di contribuzione, con contributi volontari e non obbligatori.

      Di seguito si illustrano sinteticamente le disposizioni più salienti del Protocollo.
      Nel capitolo 1 (Introduzione, articoli da 1 a 4), dopo avere enunziato le definizioni dei termini utilizzati nel Protocollo (articolo 1), si chiarisce il carattere integrativo dello stesso rispetto alla Convenzione del 1954 (articolo 2), confermando in tal modo tutti gli impegni in virtù di quella già assunti. In particolare viene confermata, all'articolo 3, l'applicabilità di tutte le norme del Protocollo anche nei casi di

 

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un conflitto armato che non abbia carattere internazionale, la cui nuova e più ampia definizione, peraltro, è data all'articolo 22. All'articolo 4 si chiarisce la compatibilità del regime della protezione rafforzata con le norme di carattere generale della Convenzione (capitolo 1) e dello stesso Protocollo (capitolo 2), restando fermo che, ove un bene sia posto al contempo sotto protezione speciale e sotto protezione rafforzata, si applicheranno solo le disposizioni relative alla protezione rafforzata.
      Il capitolo 2 (articoli da 5 a 9) è dedicato alle disposizioni generali sulla tutela dei beni culturali. L'articolo 5 indica le misure preparatorie da adottare sul territorio nazionale, in tempo di pace, allo scopo di garantire la salvaguardia del patrimonio culturale nei confronti di un prevedibile conflitto armato. Esse includono: la preparazione di inventari; la pianificazione di misure d'emergenza per la protezione contro incendi o collassi strutturali; la preparazione di piani per la rimozione dei beni culturali mobili e la loro conservazione in luoghi adeguatamente protetti; la designazione di autorità responsabili per la salvaguardia del patrimonio culturale.
      L'articolo 6 introduce il principio della necessità militare imperativa per precisare le condizioni alle quali può essere invocata la stessa necessità militare imperativa, di cui all'articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione, e per limitare i casi in cui è ammissibile un attacco contro un bene culturale: quando il bene culturale è usato alla stregua di obiettivo militare e l'attacco rivolto contro il bene culturale è l'unica soluzione possibile per ottenere il vantaggio militare atteso. La norma precisa, inoltre, che la decisione relativa all'invocazione della necessità militare cogente deve essere presa da un ufficiale preposto ad un'unità delle dimensioni di un battaglione o più grande; gli ufficiali che comandano unità di dimensioni inferiori non possono prendere tale decisione se non in presenza di circostanze straordinarie. Gli articoli 7 e 8 indicano rispettivamente le precauzioni da prendere allo scopo di tutelare l'integrità del patrimonio culturale sia nella fase di attacco sia in quella di difesa. L'articolo 9 si riferisce alla tutela del patrimonio culturale situato nei territori occupati militarmente, obbligando lo Stato occupante ad astenersi da attività quali l'esportazione illecita di beni culturali o l'avvio di scavi archeologici e autorizzando tali operazioni solo se necessarie alla salvaguardia del patrimonio culturale e se eseguite in cooperazione con le autorità nazionali competenti del territorio occupato.
      Il capitolo 3 spiega il principio della protezione rafforzata (articoli da 10 a 14), una delle novità più rilevanti del Protocollo. L'articolo 10 indica le tre condizioni che devono essere contemporaneamente rispettate affinché un bene culturale sia assoggettabile al regime di protezione rafforzata, da parte del Comitato intergovernativo ad hoc istituito (articolo 11). Il bene culturale:

          a) deve avere un'importanza di grandissimo rilievo per l'umanità;

          b) deve già godere di un elevato livello di protezione legislativa e amministrativa nazionale, in virtù del suo eccezionale valore storico e culturale;

          c) non deve essere utilizzato, su dichiarazione dello Stato Parte che ne ha il controllo, per scopi militari.

      L'articolo 11 indica la procedura per assoggettare al regime della protezione rafforzata uno o più beni culturali:

          1) ogni Paese sottopone al Comitato intergovernativo ad hoc istituito un elenco dei beni culturali per i quali intende richiedere la protezione rafforzata: deve trattarsi di beni che possiedono tutti i tre requisiti indicati all'articolo 10;

          2) la decisione di includere un bene nella lista di quelli soggetti a protezione rafforzata (di cui all'articolo 27) è poi presa dalla maggioranza di almeno quattro quinti dei membri presenti e votanti del Comitato, dopo aver ascoltato l'eventuale parere di tutti gli Stati Parte del Protocollo.

 

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      In casi eccezionali, qualora lo Stato richiedente non sia in grado di offrire al bene che necessita di protezione rafforzata adeguate misure di protezione nazionale [articolo 10, lettera b)], il Comitato può accettare di iscrivere il bene nella lista, purché si richieda per lo stesso un regime di protezione internazionale ai sensi dell'articolo 32 del Protocollo.
      La richiesta di protezione rafforzata può essere presentata dallo Stato anche dopo lo scoppio di un conflitto. In questo caso può essere concessa una «protezione rafforzata provvisoria», sempre a maggioranza dei quattro quinti dei membri presenti e votanti del Comitato. La protezione rafforzata è provvisoria finché non si svolge la procedura per definire l'applicazione regolare del regime particolare.
      L'elenco dei beni iscritti nella lista di quelli sottoposti a regime di protezione rafforzata è tempestivamente comunicato dal Direttore generale dell'UNESCO al Segretario generale dell'ONU e a tutti gli Stati Parte del Protocollo.
      L'articolo 12 dispone l'immunità per il patrimonio culturale sottoposto a protezione rafforzata, che deve essere garantita dai singoli Stati durante il conflitto mediante l'astensione dal considerare i suddetti beni e il territorio ad essi limitrofo alla stregua di un obiettivo militare.
      Gli articoli 13 e 14 prevedono le ipotesi in cui il bene culturale perde il diritto alla protezione rafforzata e quelle in cui la protezione rafforzata è sospesa o cancellata.
      Il capitolo 4 è dedicato alla definizione delle responsabilità penali in caso di violazione delle norme previste dal Protocollo (articoli da 15 a 21). In particolare, l'articolo 15 introduce il principio della responsabilità individuale in caso di danneggiamento o distruzione ingiustificati di beni culturali, e spiega la necessità che ogni Stato adotti misure interne volte a inserire i reati in questione nella categoria degli illeciti penali. L'articolo 16 stabilisce l'obbligo dei singoli Stati di adottare misure legislative atte a definire la giurisdizione nazionale in materia. L'articolo 17 introduce il principio aut dedere aut judicare, riferito ai reati previsti nell'articolo 15. L'articolo 18 definisce le ipotesi di estradizione, considerando reati che danno luogo a estradizione quelli previsti nei trattati di estradizione applicabili tra i Paesi interessati. L'articolo 19 prescrive l'obbligo per le Parti di garantirsi reciproca assistenza nell'applicazione del Protocollo. L'articolo 20 introduce la clausola di depoliticizzazione, già prevista in altre convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia, per i reati previsti dal Protocollo.
      Il capitolo 5 (articolo 22) estende l'applicazione del Protocollo ai conflitti armati non internazionali che sorgono sul territorio di uno degli Stati Parte.
      Il capitolo 6 individua gli organi istituzionali chiamati a dare applicazione al Protocollo, nonché le loro funzioni (articoli da 23 a 29). La riunione delle Parti (articolo 23) ha luogo in concomitanza con la Conferenza generale dell'UNESCO. Le sue principali funzioni sono: eleggere i membri del Comitato intergovernativo di cui all'articolo 24; convalidare le direttive stabilite dal Comitato; vigilare sull'uso del Fondo di contribuzione da parte del Comitato. Il Comitato per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (articolo 24) è composto dai rappresentanti di dodici Parti, che assicurino un'equa rappresentanza delle varie regioni e civiltà del mondo; si riunisce una volta all'anno in sessione ordinaria e ogni volta che necessita in sessione straordinaria; i suoi membri hanno un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta (articolo 25); esso adotta le proprie decisioni a maggioranza dei due terzi dei membri presenti e votanti (articolo 26). Le sue funzioni principali sono (articolo 27): redigere le linee guida per l'attuazione del Protocollo; redigere e controllare la lista dei beni sottoposti a regime di protezione rafforzata; determinare le modalità di utilizzo del Fondo.
      Il Segretariato del Protocollo è garantito dal Segretariato dell'UNESCO, che ha il compito di assistere il Comitato intergovernativo e di preparare i documenti e l'agenda degli incontri (articolo 28).
      L'articolo 29 istituisce il Fondo volontario per la protezione dei beni culturali in

 

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caso di conflitto armato, finalizzato ad assistere finanziariamente gli Stati Parte nella predisposizione delle misure previste dal Protocollo.
      Il capitolo 7 è dedicato alla diffusione dell'informazione e all'assistenza internazionale; illustra, inoltre, le forme di cooperazione internazionale cui può fare ricorso lo Stato Parte in caso di gravi violazioni del dettato del Protocollo (articoli da 30 a 33). L'articolo 30 attribuisce alle autorità dei singoli Paesi il dovere di sensibilizzare le popolazioni al contenuto del Protocollo, attraverso programmi educativi e informativi, e stabilisce inoltre che le linee guida del Protocollo siano inserite nei regolamenti militari. L'articolo 31 prevede la cooperazione internazionale tra le Parti del Protocollo, in caso di gravi violazioni allo stesso. L'articolo 32 prevede la possibilità di richiedere assistenza internazionale sia nella fase di preparazione che nella fase di applicazione del Protocollo. Specifica inoltre che la Parte nel conflitto che non è Parte del Protocollo, ma che accetta e applica i provvedimenti da questo previsti, può chiedere assistenza internazionale appropriata da parte del Comitato. L'articolo 33 prevede la possibilità di usufruire di assistenza anche da parte dell'UNESCO, su richiesta dello Stato Parte o su proposta dell'Organizzazione.
      Il capitolo 8 riguarda l'esecuzione del Protocollo (articoli da 34 a 38). Stabilisce la procedura di conciliazione delle Parti in conflitto, sia nel caso in cui siano state designate delle potenze protettrici (articoli 34 e 35), sia nel caso in cui potenze protettrici non siano state designate (articolo 36). L'articolo 37 prescrive che le Parti presentino al Comitato, ogni quattro anni, un rapporto sull'attuazione del Protocollo. L'articolo 38 specifica che la responsabilità penale individuale prevista dal Protocollo non interferisce con la responsabilità degli Stati ai sensi del diritto internazionale, incluso l'obbligo di provvedere al risarcimento.
      Il capitolo 9 è dedicato alle clausole finali. L'articolo 43, in particolare, prevede l'entrata in vigore del Protocollo tre mesi dopo il deposito del ventesimo strumento di ratifica; successivamente, per ciascuna Parte, tre mesi dopo il deposito del proprio strumento di ratifica.
      Il Protocollo in questione è entrato in vigore il 9 marzo 2004; la prima riunione delle Parti si è tenuta a Parigi il 26 ottobre 2005, in concomitanza con la trentatreesima Conferenza generale dell'UNESCO; la prima sessione del Comitato intergovernativo si è tenuta nell'ottobre 2006.
      La ratifica del Protocollo in oggetto da parte dell'Italia è coerente con il tradizionale impegno che il nostro Paese ha sempre assunto nella definizione e nell'attuazione di tutti gli strumenti giuridici internazionali di tutela del patrimonio culturale, sia nell'ambito dell'UNESCO sia in altri ambiti di cooperazione culturale (Unione europea, Consiglio d'Europa, UNIDROIT) e con l'attivo contributo dato in tutte le fasi del lungo negoziato.
      Il presente disegno di legge si compone di sedici articoli recanti, oltre alla dotazione finanziaria (articolo 16), anche le necessarie norme di modifica dell'ordinamento interno.
      In particolare, l'articolo 3 reca le definizioni principali, tra cui quella di Convenzione e di Protocollo, con cui si intendono, rispettivamente, la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 1954 e il Protocollo relativo alla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 1999.
      L'articolo 4 riguarda le misure propedeutiche da adottarsi in tempo di pace per salvaguardare i beni culturali dagli effetti prevedibili di un conflitto armato (si veda l'articolo 5 del Protocollo). Nell'ambito di tali misure vanno segnalate: le disposizioni concernenti la catalogazione dei beni culturali, contenute nell'articolo 17 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che pone il relativo obbligo a carico del competente Ministero, chiamato a provvedervi con il concorso delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali e a coordinare le relative attività; le norme tecniche di protezione dei beni culturali in caso di rischi d'incendio, quali quelle dettate dal regolamento di cui al decreto del Ministro
 

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per i beni culturali e ambientali 20 maggio 1992, n. 569, contenente le norme di sicurezza antincendio per gli edifici storici e artistici destinati a musei, gallerie, esposizioni e mostre, e dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1995, n. 418, recante le norme di sicurezza antincendio per gli edifici di interesse storico-artistico destinati a biblioteche e archivi; le norme in materia di competenza del Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, contenute nel decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 5 marzo 1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 del 17 marzo 1992 (articolo 2) e nel decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 297 [articolo 16, comma 2, lettera b), numero 4)].
      L'articolo 5 detta i criteri per consentire l'applicazione dell'articolo 10 del Protocollo, nel quale, come si è detto, sono indicate le condizioni affinché un bene culturale possa essere assoggettato al regime di protezione rafforzata.
      Considerata l'impossibilità di introdurre e di applicare sic et simpliciter nel territorio nazionale le formule utilizzate dal Protocollo, necessariamente frutto di compromessi resi indispensabili dall'estrema varietà degli ordinamenti e dalla distanza spesso molto marcata tra definizioni e concetti giuridici propri di ciascuno, nonché dalla diversificazione delle esigenze conservative, riflesso sia della diversa consistenza del patrimonio culturale dei singoli Stati sia del differente approccio alle problematiche della tutela, è apparso indispensabile fornire, con le disposizioni attuative, la chiave interpretativa delle formule contenute nelle norme convenzionali, affinché esse possano essere più agevolmente tradotte in concetti e in termini coerenti con la legislazione di settore, che si fonda su una tradizione normativa quasi secolare.
      A tale scopo, è stato necessario prendere le mosse dai seguenti punti fermi:

          1) la formula «patrimonio culturale che riveste la massima importanza per l'umanità», riportata nella lettera a) del citato articolo 10, essendo dettata al fine di circoscrivere l'ambito di applicabilità oggettiva delle misure di protezione rafforzata, non deve, ovviamente, intendersi come riferita in modo particolare all'insieme dei siti italiani riconosciuti dall'UNESCO quale patrimonio dell'umanità. Nel nostro Paese, infatti, quei siti rappresentano soltanto una parte minima del patrimonio culturale degno di essere conservato e tramandato alle future generazioni;

          2) il richiamo all'eccezionalità del valore culturale dei beni protetti dall'ordinamento interno, di cui alla lettera b) del medesimo articolo 10, ai fini della loro tutela rafforzata, se può valere quale criterio generale e astratto di applicazione, utile al fine di evitare che si reclami speciale protezione per beni di scarsissimo o inesistente interesse culturale, nel caso dell'Italia non può essere letto nella sua puntuale accezione letterale. Nel nostro Paese, infatti, il parametro in base al quale si stabilisce il valore culturale del bene al fine di sottoporlo allo speciale regime di protezione conosce più di una soglia: si passa infatti dal semplice interesse per i beni culturali di proprietà pubblica, all'interesse particolarmente importante per i beni privati, all'interesse eccezionale per le sole collezioni, a prescindere dalla proprietà. Si tratta, però, di differenti soglie d'ingresso nell'area della tutela, alle quali non corrispondono differenti trattamenti sul piano della salvaguardia. In altre parole, accertato nella cosa l'interesse previsto in astratto dalla legge per la categoria cui essa appartiene, e formalizzato questo accertamento in un atto che attribuisce alla cosa la qualità di bene culturale (eccezion fatta per le collezioni pubbliche, riconosciute quali beni culturali ope legis), tale bene è sottoposto ad un unico regime di tutela, che ne garantisce il massimo livello di protezione a prescindere dalla proprietà, dalla natura e dalla dislocazione del medesimo.

      Risulta evidente, allora, che nel caso dell'Italia, il requisito dell'eccezionalità va interpretato alla luce della normativa vigente, altrimenti sarebbe possibile assicurare la protezione rafforzata di matrice

 

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internazionale alle sole collezioni e, tra queste, non alle più importanti: come si è poc'anzi accennato, infatti, le collezioni pubbliche di maggior rilievo sono tutelate ex lege e non abbisognano di un puntuale provvedimento che ne riconosca l'eccezionale valore. Perciò, tale requisito deve intendersi sussistere in relazione a tutti i beni sottoposti al regime di tutela stabilito dalla normativa di settore (il già rammentato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004).
      Ciò posto, in mancanza di criteri ricavabili dalle disposizioni di settore, si è ritenuto ragionevole rimettere alla competente amministrazione il compito di individuare progressivamente, nell'ambito del patrimonio culturale nazionale, i beni meritevoli di tutela rafforzata, formandone un elenco da sottoporre all'apposito Comitato intergovernativo con motivazioni idonee a rappresentare la rilevante importanza dei beni medesimi per l'umanità.
      All'articolo 6 è disciplinata l'applicazione delle disposizioni penali in relazione alle previsioni contenute nel Protocollo per i fatti commessi nel corso di conflitti armati e di missioni internazionali, anche nel rispetto dei princìpi generali sanciti dal diritto internazionale umanitario. La disciplina viene diversificata in base al luogo di consumazione del reato (Stato o territorio estero) e alla nazionalità del soggetto attivo (cittadino o straniero). Mentre ai fatti commessi nello Stato si applica in ogni caso la normativa vigente, rispetto a quelli commessi dallo straniero all'estero è operata la limitazione prevista dall'articolo 16, paragrafo 1, lettera c), del Protocollo, con conseguente applicazione della legge italiana (e attivazione della giurisdizione del giudice italiano) alle fattispecie di attacco e di distruzione di beni culturali sottoposti a protezione rafforzata (articolo 7, comma 2), di utilizzo di un bene culturale sottoposto a protezione rafforzata a sostegno di un'azione militare (articolo 8, comma 2), nonché di devastazione e saccheggio di beni culturali protetti (articolo 9), purché l'autore si trovi nel territorio dello Stato.
      L'articolo 7 prevede la punibilità delle condotte di attacco e distruzione dei beni culturali protetti ai sensi della Convenzione e del Protocollo, statuendo pene più gravi nel caso di azioni dirette contro beni sottoposti a protezione rafforzata. Tali condotte sono configurate come violazioni gravi ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, lettere a), c) e d), del medesimo Protocollo.
      L'articolo 8 introduce il reato di utilizzo di un bene culturale protetto dalla Convenzione o dal Protocollo o della zona circostante a sostegno di un'azione militare, indicando sanzioni più gravi nel caso di beni sottoposti a protezione rafforzata. Anche tale condotta costituisce violazione grave, secondo l'articolo 15, paragrafo 1, lettera b), del Protocollo.
      L'articolo 9 introduce le fattispecie di devastazione e saccheggio di beni culturali protetti, anch'esse costituenti gravi violazioni ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera e), del Protocollo.
      L'articolo 10 completa gli adempimenti previsti dall'articolo 15, paragrafo 2, del Protocollo, definendo la disciplina dei reati di impossessamento illecito e danneggiamento di un bene culturale protetto, considerati gravi violazioni ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera e), del Protocollo.
      L'articolo 11 introduce il reato di esportazione e trasferimento illecito di beni culturali protetti, misura conforme all'articolo 21, lettera b), del Protocollo, da leggere in connessione sistematica con la disciplina della protezione dei beni culturali contenuta nell'articolo 9 del medesimo Protocollo.
      L'articolo 12 prevede il reato di alterazione o modificazione d'uso di beni culturali protetti, in linea con quanto stabilito dall'articolo 21, lettera a), del Protocollo in relazione al contenuto dell'articolo 9 del Protocollo medesimo.
      L'articolo 13 stabilisce la non punibilità di chi commette i fatti di attacco e distruzione di beni protetti dalla Convenzione o dal Protocollo ovvero di utilizzo dei medesimi beni in modo illecito (articoli 7 e 8) ove costretto da una necessità militare imperativa, come definita dall'articolo 6
 

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del Protocollo. Tale disposizione integra l'articolo 4, paragrafo 2, della Convenzione, esplicitando i presupposti per invocare la sussistenza di tale scriminante e fissandone comunque espresse limitazioni. La deroga in questione è ammessa soltanto se e per il tempo in cui il bene culturale è trasformato in obiettivo militare e non è disponibile altra alternativa concreta per ottenere un vantaggio conseguibile attraverso l'azione condotta contro tale bene. La decisione di invocare la sussistenza della necessità militare può essere presa da un ufficiale al comando di un'unità organica non inferiore al battaglione, o di un'unità inferiore soltanto in casi eccezionali.
      L'articolo 14, comma 1, al primo periodo, qualifica le nuove fattispecie contenute negli articoli da 7 a 12 come reati militari, in ragione dell'identità sostanziale, sotto il profilo dei beni giuridici protetti, di alcune di esse con disposizioni ora contenute nel libro III, titolo IV, del codice penale militare di guerra (articoli 174, 175, 178, 179, 186 e 187) e dell'ambito di applicazione della legge, definito dall'articolo 6. La collocazione delle fattispecie in autonomo provvedimento è aderente alla scelta operata dal Governo e dal Parlamento, fin dal 2006, di non applicare il codice penale militare di guerra al personale che partecipa alle missioni internazionali, e risponde all'esigenza di assicurare la necessaria operatività della nuova disciplina. Il secondo periodo del medesimo comma 1 chiarisce espressamente che ai militari si applica la pena della reclusione militare in sostituzione della reclusione.
      La qualificazione dei reati in questione come reati militari appare in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 298 del 1995, secondo cui il legislatore è libero di scegliere il tipo di illecito, militare o comune, purché osservi il canone della ragionevolezza.
      Nulla è innovato in ordine al riparto di giurisdizione tra autorità giudiziaria ordinaria e autorità giudiziaria militare, la cui cognizione, ai sensi dell'articolo 103, terzo comma, della Costituzione, è limitata, in tempo di pace, ai reati commessi dagli appartenenti alle Forze armate. Gli estranei alle Forze armate potranno comunque rispondere di reati militari, nei casi previsti dalla legge, rimanendo sottoposti al giudice ordinario, come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 429 del 1992.
      I commi 2 e 3 dell'articolo 14 sanciscono, per i reati qui previsti e commessi all'estero, la competenza del tribunale militare di Roma nei casi in cui la giurisdizione è attribuita all'autorità giudiziaria militare e la competenza del tribunale di Roma nei casi in cui la giurisdizione è attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria. Tali disposizioni sono analoghe alla disciplina in materia prevista dall'articolo 5 del decreto-legge 29 agosto 2006, n. 253, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 ottobre 2006, n. 270, dall'articolo 5 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 2007, n. 38, e dall'articolo 9, comma 13, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127.
      L'articolo 15 prevede una norma di coordinamento rispetto alla disciplina stabilita dal codice penale militare di guerra.
      L'articolo 16 fornisce la copertura finanziaria al provvedimento in esame, come dettagliata nella sezione relativa alla relazione tecnica.